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Di quali problemi si occupa la
filosofia
La filosofia è l’amore del sapere, cioè la ricerca della
verità.
Può il sapere non essere la verità ? Ci sono diversi “saperi”. A scuola, le materie, cioè le
discipline, sono saperi, ed essi non pretendono di costituire la “verità” del
loro oggetto di studio. Ad esempio, la letteratura può essere definita come il
sentimento che l’uomo prova rispetto ai problemi dell’esistenza, della vita,
della storia e della società. Ma la letteratura esprime diversi sentimenti, come
ad esempio lo scetticismo di un autore, o l’agnosticismo di un altro:
- lo scetticismo è la concezione speculativa o
l’atteggiamento del pensiero di chi non crede che la verità (“assoluta”,
secondo Hegel) possa essere raggiunta;
- l’agnosticismo è la concezione speculativa o
l’atteggiamento del pensiero di chi afferma che i problemi che trascendono
(superano) il dato empirico (ciò che appare agli occhi) non possono essere
risolti, e si astiene dall’affrontarli.
Ma la filosofia non riguarda innanzitutto i diversi
saperi, in cui si suddivide la conoscenza umana, bensì il “sapere”, e quindi il
suo oggetto di studio, ovvero la realtà, che è il comune denominatore di ogni
altra realtà, è la realtà in se stessa, cioè l’essere. Attraverso il
fondamento, nella filosofia, di tutti i saperi (le diverse discipline
scolastiche, cui corrispondono le scienze), essi sono portati ad assumere la
verità come una possibilità della loro direzione di ricerca.
Lo scettico e l’agnostico non credono dunque alla verità,
ma esiste ed è indubitabile la verità del loro stato d’animo, che la
letteratura assume come guida della propria analisi, volta ad esprimere in modo
oggettivo lo stato d’animo dell’uomo di fronte alla vita e ai suoi problemi (la
malinconia di chi cerca la verità, ma rimane deluso perché non la trova, oppure
la serenità di chi non si pone domande “ultime” circa il senso della vita, per
non rimanere deluso).
La filosofia, si è detto, è la ricerca della sapienza
(sophia), la quale unifica tutti i saperi. La filosofia, condizionata della
letteratura, determina l’ideologia dei politici, che dicono agli ingegneri cosa
costruire. Attraverso la filosofia, tutti i saperi trovano la loro unità.
In particolare, l’indagine filosofica si è incentrata
attorno ad alcuni problemi specifici:
- 1) la ricerca del principio primo di tutta la realtà e
della struttura ultima della realtà;
- 2) la ricerca del senso della vita;
- 3) la dimostrazione dell’esistenza di Dio;
- 4) la ricerca di una fondazione dell’etica (che cosa
deve fare l’uomo e perché ? come deve comportarsi ?);
- 5) la ricerca di una fondazione del diritto (esiste una
legge “giusta” ? che cos’è la giustizia ? cosa sono la politica e lo stato ?);
- 6) la ricerca del senso della storia dell’umanità;
- 7) la ricerca di una teoria della conoscenza di tipo non
strettamente psicologico (distinzione tra gnoseologia e psicologia cognitiva).
1) La prima ricerca
prende il nome di “ontologia” (che in greco significa “discorso intorno
all’essere”) e di “metafisica”.
A cosa serve interrogarsi sul principio primo della realtà
? Proprio questo tipo di indagine ha fatto sì che la filosofia fosse guardata
con sospetto, come una disciplina inutile e bizzarra, lontana dai problemi
pratici della gente comune, i quali sono spesso seri, gravi e drammatici, per
cui la filosofia appare come incapace di incidere sulla realtà della vita e di
aiutare le persone.
Uno dei problemi più importanti della filosofia (e più
urgenti) consiste nella capacità della filosofia di incidere sulla realtà del
mondo, anche e soprattutto dal punto di vista politico. Se si parte dal
principio primo della realtà, come si può pretendere di giungere ad aiutare chi
è in difficoltà ? Questa è anche una delle maggiori critiche che sono state
portate alla teologia: se Dio esiste (inteso come il principio cercato), perché
c’è il male ? se Dio esiste, perché non interviene nella storia per salvare
l’uomo dai suoi problemi materiali ? La risposta classica che viene data a tali
interrogativi (specie nella prospettiva cattolica, incentrata sulla
salvaguardia della libertà dell’uomo), e che sembra efficace, è che Dio non può
sostituirsi all’uomo: l’uomo appare in grado di risolvere i problemi del mondo
(sociali, economici, ecologici), attraverso la solidarietà. Dio non interviene,
perché spetta all’uomo intervenire. Ma allora, a cosa serve l’ipotesi di Dio ?
Essa rientra nell’ambito di due fattori:
- da Dio l’uomo trae lo stimolo ad operare secondo il bene
(per esempio, per il timore del guidizio universale);
- se Dio sembra non aiutare l’uomo, il problema primo
dell’uomo non è comunque il mondo, ma proprio Dio (la sua volontà, dalla quale
dipende la salvezza), per cui i problemi del mondo e della storia sono
secondari.
La ricerca del principio primo della realtà è importante,
avendo implicazioni sui problemi immediati dell’uomo, perché l’uomo si fa
guidare dall’ideologia, cioè da una sua concezione del mondo, che può essere
più o meno fondata e rigorosa razionalmente. L’uomo agisce sotto la spinta
della difesa dalla morte e dal nulla, e per conseguire un beneficio. La paura
della morte e del nulla è un meccanismo di difesa forte, capace di spingere
l’uomo all’azione. La morte e il nulla sono entità anche figurate. Esse sono ad
esempio simbolo dell’indigenza, per fuggire la quale l’uomo cerca il lavoro. Un
giovane studia perché teme un cattivo voto e quindi la riprovazione morale dei
genitori, simbolo di una condizione negativa, che deve essere fuggita. Perché ?
Per non rimanere indietro nella vita, rispetto ai propri compagni e rispetto
alle opportunità offerte da una società, che procede verso il benessere ma che
anche punisce i pigri, offrendo loro meno occasioni lavorative per sostenersi e
affermarsi nella vita.
La morte e il nulla non sono concetti “terribili”, da
“rimuovere”. E’ importante imparare a convivere con essi. Severino è riuscito a
offrire una credibile alternativa al cristianesimo, offrendo consolazione e una
prospettiva ultramondana di “gioia” a tutti gli uomini, con il limite però di
non riuscire a offrire motivazioni che spingano gli uomini a trasformare il
mondo per migliorarlo, avendo egli escluso la dimensione dell’etica e della
giustizia.
Ricercare il principio primo della realtà (che può
trascendere il mondo, come il Dio delle tre religioni storiche, oppure identificarsi
con esso, essendo immanente nella natura, come il Caos e l’evoluzione)
significa appagare il desiderio di dare un senso alla propria vita, vista nella
sua globalità: “io so perché vivo, io so dare un senso a quello che faccio, al
mio egoismo oppure al mio altruismo”. Il destino dell’uomo riveste una
dimensione filosofica e universalistica, come dimostra la globalizzazione, che
unisce l’umanità. Le statistiche riportate dai giornali fanno apparire
l’importanza della domana intorno al principio primo della realtà quanto mai
fondata: solo 200 milioni di uomini sono atei nel mondo; la stragrande
maggioranza del genere umano ha una fede religiosa Allora, per questa il
principio primo sarà il termine razionale su cui fondare la ragionevolezza
della propria fede e delle proprie speranza, per poter continuare a credere in
esse. E gli atei ? Anche per chi crede nel Caos, oppure nell’evoluzione
(principio legato al Caos e al caso, ma anche alla necessità), oppure non crede
in niente, la domanda intorno al principio primo della realtà serve per
difendersi dal timore, quasi ancestrale, della divinità, che (secondo le
religioni storiche) punirebbe il non credente, se vive senza valori. Egli può
così ragionare: “sono egoista e non sarò punito, perché l’al di là, Dio e il
suo giudizio universale non esistono”. Una prospettiva, questa, che mette in
evidenza come l’interrogativo circa il principio primo può essere posto sia in
positivo che in negativo, ma comunque è forse ineludibile. Esso pone la
questione della globalità del senso da dare alla vita, alla storia e al mondo,
essendo ogni uomo (anche lo scienziato) naturalmente un filosofo.
Dopo quella del principio primo, il cui sfondo ideologico
muove concretamente la storia, la ricerca della struttura ultima della realtà
potrebbe apparire come un vuoto e inutile approfondimento metafisico. Se la
ricerca del principio serve almeno a dare un fondamento razionale (cioè
credibile, convincente e quindi tranquillizzante) alla propria fede, oppure al
proprio ateismo, scetticismo o agnosticismo, a cosa serve approfondire
l’analisi della struttura di questo principio ? Non è sufficiente che la fisica
studi la struttura della materia, non per fini teorici, ma pratici, allo scopo
di trasformare (oppure anche di sconvolgere) la natura ?
Sarebbe facile rispondere nella prospettiva di fede (la
quale, peraltro, come si è visto, coinvolge la maggior parte degli uomini):
l’analisi della struttura ultima della realtà fa capire che quella
trasformazione tecnica del mondo (manipolazione) ha limiti invalicabili, e che
quindi è inutile che la scienza cerchi di sconvolgere le leggi di natura, per
raggiungere, ad esempio, l’immortalità, o anche solo più modestamente per
cercare di curare malattie, che non possono essere affatto curate perseguendo
vie di distruzione del genoma umano. Dice Severino che la tecnica non ha
limiti. La tecnica potrebbe invece avere limiti assoluti, e non di tipo etico.
Se la morte dell’essere umano è frutto dell’entropia dell’universo, che toglie
universalmente energia alla materia e al cosmo, anche la tecnica sarebbe
coinvolta in questa “morte universale”, e quindi essa non può opporvisi. Il
sogno di immortalità di una scienza, concepita come in competizione con la
religione, semplicemente sarebbe appunto solo un sogno, una fantasia, una mera
suggestione, assai pericolosa però, perché in virtù di essa alcuni scienziati
sono pronti a manipolare geneticamente l’uomo e quindi a clonarlo. La ricerca
della struttura metafisica della realtà porrebbe quindi limiti assoluti alla
concezione scientistica della manipolazione totale e disumana della natura e
dell’uomo.
L’interrogativo circa l’importanza della ricerca della
struttura ultima della realtà appare dunque importante anche nella prospettiva
atea, scettica o agnostica. Dice Severino che la filosofia contemporanea toglie
ogni limite alla tecnica, perché concepisce l’infinito “divenire” della realtà,
e quindi la disposizione della materia alla sua infinita manipolabilità. Se
nella prospettiva di fede la struttura metafisica della materia impedisce la
sua manipolazione tecnica, nella prospettiva atea, scettica e agnostica essa
appare possibile, dando speranze ai malati e a quegli uomini e scienziati, che,
nello sviluppo della medicina genetica e della biologia molecolare, cercano non
solo la guarigione dalle malattie, ma anche l’immortalità, garantita già
nell’al di qua.
Questa possibilità dipende dal principio primo della
realtà, che viene assunto. Quindi, la ricerca della struttura ultima della
realtà è il suo “approfondimento”, serve cioè a confortare l’ipotesi intorno al
principio, e, ponendosi tra il principio metafisico e le scienze, rende
possibile il loro sviluppo, insieme alla crescita del potere della tecnica, il
quale presenta aspetti positivi o negativi, a seconda dell’uso etico che viene
fatto della tecnologia.
2) La filosofia
ricerca anche il senso della vita. Se il principio è Dio, il senso della vita è forse
racchiuso in Dio. Se invece il principio è l’evoluzione oppure il Caos, oppure
non esiste, il senso della vita può essere la necessità, o il caso oppure il
nulla (nichilismo).
Ci sono uomini che sopportano il peso dell’esistenza senza
interrogarsi sul senso della vita. Altri, invece, (sotto la spinta di una
depressione o di problemi pratici e affettivi vissuti come insopportabili)
possono giungere addirittura al suicidio, dopo una ricerca del senso della vita
vana, disperata e deludente.
Per vivere e per fare filosofia, ci vogliono serenità ed
equilibrio. E’ inutile cercare la verità, se si pensa che si potrà rimanere
delusi. La ricerca della verità è anche la ricerca della felicità: si può
rimanere delusi per il fatto di cercare e di non trovare, ma non si può pensare
che il frutto della propria ricerca si riveli, infine, come una verità
“terribile” o “nemica” dell’uomo. Bisogna invece avere fede nella verità, e nel
suo potenziale di cambiamento del mondo.
Che cos’è il senso della vita e perché l’uomo lo cerca,
oppure è importante cercarlo ?
Il senso della vita è quasi la motivazione fondamentale
che spinge l’uomo a esercitare in modo virtuoso una libertà e una volontà, che
esistono, che possono essere esercitate, e che cercano “ragioni” per il proprio
sacrificio di studio, lavorativo e affettivo. L’uomo cerca le motivazioni
ultime della propria esistenza in una parola, in un linguaggio, in un contenuto
verbale, che con effetto quasi terapeutico possa aiutarlo e spingerlo ad andare
avanti. Verso dove ? Verso il principio primo, oppure verso una qualche meta
personale di felicità. Anche se nessuno può conoscere il senso della vita e il
principio primo della realtà, la fede circa la loro esistenza è sempre una
possibilità, ed essa sola può motivare l’uomo: la sola loro ammissione e
ricerca può riempire la vita di speranza.
3) La dimostrazione
dell’esistenza di Dio è problema che appartiene alla filosofia o alla teologia
? La teologia è
parte della filosofia (che, essendo la sapienza, la include), ma il suo modo di
accostarsi al problema di Dio è più specifico rispetto a quello della
filosofia, intesa in senso stretto. Si può dire che, poiché la teologia è la
scienza di Dio, essa presuppone l’esistenza del suo oggetto, per cui la
dimostrazione dell’esistenza di Dio è problema che viene prima della
riflessione teologica, e quindi è filosofico più che teologico.
Perché la filosofia si è posta il problema della
dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio ? Non basta “credere” in Dio,
secondo la fede religiosa ? In realtà, la fede è un atto speculativo, cioè di
ragione, perché chi ha fede decide di credere ad un contenuto speculativo, ad
esempio al bagaglio culturale costituito dall’insieme dei dogmi cristiani
(l’esistenza della Trinità, l’incarnazione del Verbo, la realtà della
transustanziazione, eccetera). Nella fede cristiana, l’uomo deve perseguire la
santità, e questa non presuppone la fede come un dato indimostrabile, ma esige
che l’uomo vi si accosti secondo la ragione, per cercare di comprenderla. E’ un
dovere dei cristiani attingere alla speculazione filosofica, ovvero uscire
dall’ ignoranza filosofica. La fede, senza la ragione, è incompleta.
La filosofia si è posta la questione dell’esistenza di
Dio, perché si è fatta guidare dell’intuizione, quasi istintiva, per cui
l’ipotesi dell’esistenza di Dio è complementare alla natura e alla ragione
dell’uomo. Dio è una nozione che “rimbomba” dal passato nella mente dell’uomo
in tutte le generazioni umane, come un problema ineludibile, che non è affatto
messo in crisi (come sostiene invece Severino) nel nostro tempo, perché se il
potere della Tecnica vuole sostituirsi al potere di Dio, la religione e la
filosofia hanno inteso Dio non solo come potere (sul divenire), ma anche e
soprattutto come presenza appagante e fondamento dell’etica, per cui i teologi
sostengono che Dio è la felicità dell’uomo, che la tecnica non può quindi
sostituire, perché Dio sarebbe già esistente e presente, come meta
insostituibile, per definizione, dell’uomo. Se Dio è la felicità, la felicità è
Dio, e non la tecnica. La tecnica può far dimenticare Dio all’uomo (come nuovo
“oppio dei popoli”), non annullarlo (in chi rifiuta questo “oppio”).
4) Il principio
primo della realtà può fondare l’etica come non fondarla.
Ad esempio, l’evoluzione fonderebbe, nella prospettiva
darwiniana, la competizione tra gli uomini, e la società della globalizzazione
e della libertà dei mercati vede appunto le imprese e i lavoratori competere
tra loro per la loro affermazione sociale ed economica. La competizione è un
modo di vita. Essa è, anzi, il modo di vita oggi prevalente.
Se il principio è inteso come il Caos, ciò potrebbe
condurre alla fondazione di una visione anarchica della propria vita. Anche
questa è una possibilità e una scelta di vita degna di rispetto. Ciò non toglie
che forse possa esserci una visione del mondo razionalmente superiore, cioè più
convincente di questa.
Con lo studio dell’etica, cioè della disciplina che
ricerca i principi fondamentali del comportamento umano, nei termini della loro
motivazione all’agire, la filosofia si costituisce come “filosofia morale” ed
“etica” (dal greco “ethos”: costume).
L’etica è senza dubbio una delle più attuali e urgenti
questioni del nostro tempo. Il problema è che oggi l’etica viene svincolata da
un qualche principio fondativo, per cui si presenta come prescrizione di un
comportamento non credibile.
Dice il giovane: “Perché devo studiare ?”. Dice l’adulto:
“Perché non dovrei evadere le tasse ?”. Si chiede il politico: “Perché dovrei
reggere rettamente lo stato, anziché perseguire il mio interesse ?”.
Si potrebbe rispondere a queste domande appellandosi a principii
religiosi: “Ci si deve comportare bene per non incorrere nella riprovazione e
nel giudizio di Dio”. La filosofia può accettare questa posizione, essendo la
teologia quella parte della filosofia, cioè della sapienza, che studia Dio
(pretendendo di conoscerlo). Ma essa (soprattutto dopo il filosofo Kant) cerca,
in realtà, di fondare il comportamento morale dell’uomo guardando “dentro” l’uomo
e la sua natura, sebbene ciò non significhi che tale fondazione antropologica
della morale debbe essere svincolata da un qualche principio primo della realtà
(l’evoluzione, il Caos, Dio, eccetera), a lui esterno.
Fondare l’etica dentro l’uomo significa concepire l’uomo
come un essere naturalmente morale e solidale. L’uomo è buono per natura. Egli
può fare il bene. Ma fare il bene costa fatica. Quindi, l’etica deve dare
motivazioni all’uomo perché egli accetti di sacrificarsi per se stesso e per
gli altri. Lo studio dell’etica non può essere svincolato dalla psicologia. E’
questa che studia e comprende l’inclinazione al male dell’uomo, cui non
appartiene tanto l’egoismo individuale (che è anche positivo), quanto piuttosto
quello sociale, causa dell’inerzia al bene, dei crimini e delle guerre.
Anche qui la filosofia rivela la sua essenzialità. L’uomo
è spinto dalle pulsioni a fare il male, ma è sufficiente una motivazione perché
l’uomo si fermi. Compito di ricercare le motivazioni positive all’agire morale
individuale e sociale è proprio dell’etica. Dove essa può trovare queste
motivazioni ?
Con il filosofo Schopenhauer si può dire che l’universo e
il mondo sociale dell’uomo sono spinti alla vita da
un’energia quasi “magica” o
“divina”, che costringe ogni uomo a compiere determinate
scelte, dalle quali
egli non può fuggire, pena la riprovazione sociale, e quindi una
“colpa
sociale”, che tutti percepiscono come insopportabile. E’ la
società, cioè
l’insieme delle famiglie umane, che conduce queste ultime a
portare i loro
figli a scuola, a far dipendere il benessere familiare dal contributo
lavorativo di ogni membro della famiglia, a fondare la stabilità
dello stato e
la sua ricerca del benessere diffuso e della pace nel mondo. Molti
giovani non
sanno perché vanno a scuola (e neppure i loro genitori e i
politici lo sanno:
“per non essere ignoranti”; e perché non si deve
essere ignoranti ? …; “perché
l’ignoranza disgrega la società e la
civiltà”, e perché l’umanità
“deve”
continuare a vivere ? …), eppure questa energia universale,
vitale e sociale,
li porta a scuola, e nessuno dubita che ciò sia un bene, anzi il
“Bene”. A questa
volontà inconscia l’uomo può comunque sempre
opporsi. Ciò pone la relazione tra
volontà e libertà.
La filosofia classica dei greci ha posto come principio
intermedio tra il principio primo della realtà e l’agire dell’uomo proprio il
“Bene”, che può essere morale o giuridico. L’uomo “deve” perseguire il Bene
(che non è necessariamente Dio, potendo essere anche la volontà di Dio o il
destino). Il Bene è il fine pratico e morale dell’uomo. Che cos’è il Bene ?
Esso può essere definito in modo così esteso, che tale fondazione dell’etica può
essere condivisa anche dagli atei, dagli scettici e dagli agnostici. Il Bene
può infatti essere:
- Dio;
- il vantaggio pratico;
- l’“interesse” egoistico;
- la ricchezza;
- l’amore (eros ed agape, o carità).
Tutte le definizioni del Bene hanno pari dignità (nessun
cristiano dubita, ad esempio, che il denaro o il piacere siano beni morali
“positivi”, cioè degni di essere perseguiti), a condizione che esse non
confondano il Bene con il “male”.
L’etica dice che cosa l’uomo “deve” fare, ma dice anche
che cosa l’uomo non deve fare. Deve fare il bene, ma non deve fare il male. Se
il male è il dolore oppure un crimine, sebbene gli studiosi si dividano circa
la definizione del bene e del male, nessuno dubita che il male non debba essere
perseguito, e ciò non è banale, perché, sebbene le definizioni suddette siano
discordi, la civiltà mondiale oggi si fonda su di un insieme condivisibile di
definizioni del bene e del male accettate dalla maggior parte dei popoli. Si
può dire che un ulteriore progresso della civiltà potrà esserci, quanto più la
definizione comune del bene e del male (ciò che la società e l’individuo devono
perseguire) sarà accettata da un maggior numero di uomini.
5) La “filosofia del
diritto” studia l’essenza (cioè la natura, o definizione concettuale, profonda)
- del diritto, che è l’insieme delle norme
giuridiche, o leggi;
- dello stato;
- della giustizia.
Sia il diritto che l’etica dicono all’uomo che cosa egli
deve fare, ma mentre l’etica prospetta una conseguenza negativa per l’inerzia
dell’uomo di fronte al dovere non fatto, eventualmente solo ultraterrena (in un
giudizio universale), il diritto comporta la sanzione, cioè una punizione
mondana, immediata e sociale per coloro che non osservano la legge.
Attraverso le norme giuridiche la società costruisce sé
stessa come civiltà, ovvero come organizzazione umana insieme spirituale e
tecnologica (dove la tecnica include l’economia): la legge protegge gli uomini
ed impone ad essi di costruire il benessere.
La legge rispecchia quell’energia universale vitale di cui
si è parlato, essa è inconscia, si incarna nello spirito delle leggi umane, e
muove gli uomini verso la costruzione ordinata, e anche coattiva, di un mondo
sempre più evoluto e migliore.
Oggi il problema della fondazione dello stato è sentito
come urgente, nel tempo in cui la globalizzazione economica determina problemi
a carattere mondiale, sottraendo sovranità allo stato-nazione. Cosa significa
questa considerazione ? Significa che la globalizzazione è quasi espressione di
un contropotere a quello politico. Quest’ultimo si esprime a livello nazionale
o continentale (come nell’Unione Europa), invece le multinazionali (grandi
imprese, estese in tutto il pianeta) spostano la ricchezza in ogni parte del
mondo, affermando un potere reale (consistente nella distruzione e nella
creazione di posti di lavoro e quindi di redditi, necessari per vivere e
sopravvivere), che a volte rende vuoto e retorico il potere dei diritti civili
(a che serve votare se non si hanno i soldi per vivere ?).
Le organizzazioni internazionali sono unioni di nazioni,
ovvero organismi tecnici e politici, cui esse partecipano, che cercano di
affrontare e risolvere i problemi globali. L’internazionalizzazione del diritto
consente appunto di rendere quasi “sovrana”, a livello planetario, ogni
nazione, permettendole di adattarsi alla globalizzazione. Ad esempio, l’Unione
Europea e l’ONU sono forme di “amplificazione”, nel mondo, del potere sovrano e
politico delle nazioni.
Il problema della giustizia ha posto la distinzione tra le
due principali correnti della filosofia del diritto: il giusnaturalismo, che
fonda le leggi sul diritto naturale; il positivismo giuridico, che fonda le
leggi sul diritto positivo, che è detto tale in quanto “posto” dallo stato. Il
diritto naturale è il diritto eterno e immutabile, fondato sulla natura
dell’uomo e, in una sua accezione, sulle leggi divine, il diritto positivo
cambia storicamente. Nella prospettiva del diritto positivo, una legge deve
essere rispettata non in quanto giusta, ma “lecita”, cioè contemplata
dall’ordinamento giuridico, che è l’insieme di tutto il corpo delle leggi,
espressione della volontà dello stato, dei politici e del popolo. Nella
prospettiva del diritto naturale, invece, le leggi devono essere osservate solo
se “giuste”, ovvero rispecchianti l’idea di giustizia. Per questo, il concetto
di giustizia ha posto un limite alla liceità delle norme (che è l’esigenza del
loro essere obbedite) nell’ “obiezione di coscienza”.
Che cos’è la giustizia ? Essa viene definita dalla
filosofia del diritto come la misura di ciò che la società deve riconoscere e
dare all’uomo, in quanto essere umano, secondo il concetto di “dignità” della
persona: è giusto che ogni uomo abbia un lavoro, una casa, del tempo libero, e
la sicurezza materiale ed economica, e lo stato deve garantire ad ogni uomo
tali condizioni, che sono definite come diritti inviolabili.
Si può dire che oggi, poiché il diritto positivo accoglie
la volontà del popolo e della storia, il positivismo giuridico sta evolvendo
verso il giustecnicismo (concetto formulato da Severino e dal giurista Irti nel
loro “Dialogo su diritto e tecnica”), poiché le leggi dello stato rispecchiano
sempre più le esigenze competitive della globalizzazione, per cui il contrasto
tra diritto naturale e diritto positivo converge verso il conflitto tra diritto
e tecnica. In cosa consiste questo conflitto ? La ricerca scientifica può, ad
esempio, esporre a chi fa le leggi l’esigenza di non porre limiti alla
manipolazione genetica. Ciò significa che la tecnica chiede al diritto di
essere riconosciuta e liberata in tutte le sue potenzialità di scoperta e di
produzione, le quali potrebbero un giorno anche rivelarsi nocive (si pensi agli
OGM, gli organismi geneticamente modificati, che potrebbero forse, se ingeriti,
nuocere alla salute).
Tale potenziale conflitto tra diritto e tecnica potrà
risolversi forse nella considerazione secondo cui il diritto e la tecnica (che
include l’economia) devono riflettere la propria essenza, per cui il diritto
(che esprime la volontà popolare) deve comandare sulla tecnica (che è uno
strumento a servizio dell’uomo), mentre alla politica spetterebbe il ruolo di
mediazione sociale nei conflitti che l’affermazione dei diritti inviolabili
inevitabilmente comporta tra le classi sociali (i ricchi, la classe media e i
poveri).
6) La “filosofia
della storia” ricerca nella storia dell’umanità un senso unitario, un disegno razionale o piano
divino, oppure essa individua nelle diverse epoche della storia e negli accadimenti
storici, elementi che possano convalidare il principio della realtà,
individuato dalla metafisica, il quale si manifesterebbe nella storia.
Le religioni storiche cercano nella storia l’intervento di
Dio, che ad esempio ha liberato il popolo ebraico dall’Egitto, vi ha incarnato
suo Figlio, il Cristo della fede, e muove la storia verso l’apocalisse, la
palingenesi, la parusia (il ritorno di Cristo alla fine dei tempi).
Hegel ha studiato nella storia il dispiegarsi dello
Spirito Assoluto, fino alla sua incarnazione nella perfezione istituzionale
dello stato prussiano. La statolatria hegeliana non è comunque una concezione
ingenua: dietro lo stato, Hegel stava individuando la Tecnica, concetto
fondamentale in Severino, per il quale la storia va nella direzione della
Tecnica, che abolisce Dio.
Un altro modo di considerare la storia non trova in essa
alcun disegno divino, essendo essa concepita come un processo casuale. Anche la
teoria dell’evoluzione si muove in questa direzione. Per gli scienziati di oggi
l’evoluzione non è più un processo assolutamente “positivo” (come lo era
secondo il positivismo ottocentesco di derivazione romantica), cioè
caratterizzato da sicuro e crescente progresso. La scienza contemporanea
individua l’evoluzione sia nel progresso che nel regresso, essendo essa frutto
del mero caso. Così molti scienziati (come l’astronoma Hack) pensano che
l’universo sia frutto del caso e mosso dalla pura casualità degli eventi. La
storia dell’umanità sarebbe casuale.
La filosofia della storia è importante, perché,
rintracciando in essa un senso (o l’aiuto di Dio dato agli uomini), consente di
prevedere gli eventi (che, se mossi da Dio, non possono essere fermati dagli
uomini), aprendo, per chi crede, la dimensione della speranza. Anche in questo
caso, sembra che chi crede in una fede religiosa possa formulare un maggior
numero di ipotesi filosofiche, e ciò appare giusto, tenuto conto che coloro che
credono, oggi, costituiscono la maggioranza degli uomini. Spesso la scuola, con
il suo rifiuto della verità e della filosofia, contraddice lo spirito del tempo
e degli adolescenti, costitutivamente “aperti” alla possibilità di verità. Se
l’ateismo è minoritario (si parla di ritorno del sacro nella civiltà
post-industriale), perché proprio gli uomini di cultura non credono, mentre la
gente semplice (e ignorante) crede ? Forse perché la cultura e la ragione
dimostrano che Dio non esiste ? Piuttosto perché forse in ogni uomo c’è la
possibilità dell’ateismo, e la ragione può trovare maggiori giustificazioni per
esso in chi sa usarla per negare razionalmente la fede. A chi sono dirette
queste pagine ? Non a chi dice ai giovani che “la verità non esiste”, ma a chi
ammette che la verità è forse una possibilità della ragione. Il giovane
crede all’adulto, più che alla ragione, che spesso è davvero “debole”.
L’educatore è quindi responsabilizzato. Si ritiene che negare a priori la
verità sia antieducativo e antiformativo. Queste pagine non voglino difendere
la “verità”, ma la sua “possibilità”.
7) La “gnoseologia”
(dal greco “gnosis = conoscenza” e “logos = discorso”) è la teoria filosofica
della conoscenza.
Attraverso Kant questa partizione della filosofia ha potuto rendersi conto che
interrogarsi sul modo in cui l’uomo conosce significa anche capire che cosa
egli può conoscere. Kant ha posto la questione in modo “negativo”: la struttura
della conoscenza umana comporta che l’uomo non possa fare “scientificamente”
metafisica. Invece, si potrebbe forse sempre accettare l’impostazione di Kant
proprio per “fondare positivamente” la possibilità conoscitiva della
metafisica. Severino ha affermato che non esiste solo la razionalità
scientifica, ma anche quella filosofica in senso stretto. La razionalità
filosofica va oltre il dato empirico per essenza. Quindi, non si tratta di fare
della metafisica una scienza come la fisica, ma di fare della metafisica una
scienza “specifica”, di tipo non empirico, che segua suoi propri “crieri di
verità”, ma che abbia comunque lo statuto della “scienza” (nel suo significato
originario di “episteme”, cioè di sapienza), in quanto sapere condivisibile da
parte di tutti gli uomini.
E’ importante distinguere tra gnoseologia e psicologia
cognitiva. Quest’ ultima studia la mente, le sue componenti e il suo
funzionamento, fondandosi sui concetti di pensiero, linguaggio, memoria,
percezione e attenzione. La gnoseologia non studia la struttura psicologica
della mente, ma la stessa possibilità di una teoria della conoscenza, nel senso
che in essa l’uomo si riconosce come essere capace di interrogarsi su problemi
conoscitivi, che trascendono il dato empirico, come ad esempio il concetto di
esistenza. Tornando al discorso della razionalità filosofica, si può anzi dire
che la gnoseologia si identifica con lo studio delle possibilità della mente di
formulare una metafisica o ontologia, come teoria dell’essere. Per cui, se si
accettasse la posizione di Kant, non solo la teologia apparirebbe impossibile,
ma la stessa filosofia, intesa come sapienza distinta dalla scienza empirica.
Qui ci si limita ad osservare che l’esistenza in sé non appare, eppure è sempre
riferita alle cose che appaiono. L’ontologia del senso comune (e degli
scienziati) accetta cioè l’“essere” come un dato incontrovertibile, di tipo non
empirico. La razionalità filosofica riconosce l’esistenza del suo oggetto
(l’esistenza stessa), autofondandosi così come “scienza (discorso razionale
valido per la comunità degli uomini) specifica dell’essere”.
L’epistemologia è la “filosofia della scienza”, intesa
però la scienza non nel suo significato originario di “episteme”, cioè di
sapienza dell’essere, ma come conoscenza empirica. Quindi:
- la scienza studia l’apparire della cosa, ovvero
l’“apparire” in sé e la sua struttura (fisica e cosmologica);
- la filosofia (ontologia o metafisica), studia l’esistenza
della cosa, ovvero l“esistenza” in sé e la sua struttura.
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