DIOCETTESIMA DIMOSTRAZIONE: APPROCCIO FENOMENOLOGICO PURO
[FENOMENOLOGICA TERZA]
correzione: i conflitti edipici, essendo emotivi, riguardano la dimostrazione diciasettesima, perchè relativa al desiderio.
esposizione
mentre la dimostrazione diciasettesima
[dimostrazione vignana] trae l’esistenza di Dio dalla purezza del desiderio di
Dio, il quale non può mentire, perché i bisogni dell’uomo sono “struttura” [Dio
come “cibo” necessario del sentimento puro], questa dimostrazione, strettamente
fenomenologica, trae l’esistenza di Dio dalla sensazione intellettiva che il
concetto di Dio e di esistenza-di-Dio suscita nel pensiero, ovvero considera
l’esistenza di Dio come una fondamentale [essenziale, e dunque vera] esigenza
dell’intelletto umano [questa dimostrazione è la versione cognitiva della
dimostrazione vignana, “emotivo-etica”].
Il concetto di Dio scatena delle
reazioni nel pensiero umano: l’uomo è separato [in parte] dalla necessità: per
questo l’uomo non riesce a congiungere l’esistenza a Dio per acquisire
l’intuizione [epistemica pura] dell’esistenza di Dio. Tuttavia, questa
congiunzione anche avviene, perché, se Dio non appare, appare la parola “Dio”
[settima dimostrazione], pertanto l’esistenza di Dio sarebbe tanto incontrovertibile
quanto sicura essa sarebbe alla visione diretta [e non viruale] dell’apparire
di Dio, se non ci fossero fattori capaci di spezzare l’intuizione epistemica di
Dio: fattori di disturbo; ecco, dunque, che la dimostrazione diciottesima non
dimostra l’esistenza di Dio “in positivo” [perché essa è già dimostrata
dall’intuzione di Dio, razionale: congiunzione attuale], ma “in negativo”,
eliminando [= neutralizzando/confutando] i fattori di disturbo [o interferenze
intelletuali] che impediscono l’intuizione epistemica. Essi possono essere di
tipo edipico o intellettuale-concettuale [falsi ragionamenti]. I fattori edipici
si lasciano all’auto-analisi del lettore. Si affrontano alcuni fattori intellettuali
[ateismo speculativo-razionalizzato, la cui massima espressione è data dalla
filosofia di Severino]: ad esempio, Feuerbach e Freud. E’ chiaro, quindi, che
il concetto di Dio, per il fatto di scatenare nella mente degli uomini, sia
credenti che atei, miriadi e miriadi di riflessioni, fedi, comportamenti,
violenza, amore, accettazione e rifiuto, conflitti sociali, sensi di colpa,
appagamenti estatici e concettuali, conflitti psichici e edipici, nevrosi, e altri
svariati fenomeni di tipo cognitivo-emotivo, non può certamente e assolutamente,
dal punto di vista scientifico-fenomenologico, puro, essere, per il modo in cui
il pensiero reagisce a tale concetto [il concetto dell’ipotesi dell’esistenza
di Dio], essere assimilabile ad una favola o mera fantasia, ovvero a un mero
concetto difensivo o a un errore, semplice o sofisticato [senza contare che di
Dio ne va del senso dell’esistenza]:
1.] confutazione di Feuerbach: “Dio è proiezione dell’uomo”/…
ciò è falso, perché Dio è
concepito come “altro” dall’uomo [proiezione spezzata], così come l’uomo è
“altro” da un altro uomo. Non vale l’obiezione secondo cui l’“alterità” è
alienzione [sottrazione e sedimentazione di caratteri del sé su un sé scisso].
Si osserva che i caratteri di Dio semplicemente non sono i caratteri dell’uomo,
che non è infinito e eterno, ma limitato e mortale [l’obiezione costituita da
Severino non vale in tale contesto: per lui, l’uomo è immortale, ma tale
immortalità include caratteri non divini, come la morte fisica e la sofferenza:
un simile uomo non può essere “il Dio”/l’ipotesi del soggetto storico di nome
Gesù non è qui pertinente, perché Gesù è il vero Dio che soltanto assume la
debolezza umana, e non già la debolezza stessa che assurge al divino]. Proprio
le parole del soggetto storico di nome Gesù confutano Feuerbach: “voi siete dei” [Gv 10, 34]: ciò
significa che l’uomo è certamente “dio” [in ciò Feuerbach e Severino hanno
ragione], ma questo “dio”, che è l’uomo, non è “il Dio”. Non c’è dunque nella fede cristiana
alcuna scissione e alienazione, perché il cristiano sa di essere “dio”, e
quindi le parole di Severino [“l’uomo è un “dio” e non sa di esserlo”] non
concernono il cristianesimo, che sa benissimo che “l’uomo è un “dio””;
2.] confutazione di Freud: “Dio è proiezione del padre”/…
Dio non
può essere la proiezione
del padre [peraltro i condizionamenti edipici cui sono stati spesso
storicamente
soggetti alcuni sacerdoti cattolici riguardano la madre, essendo la
figura del
padre per lo più assente, e per questo sostituita con Dio, che
non è dunque l’“impressione
edipica del padre”, ma la compensazione della sua assenza:
riguardo al
cristianesimo, Freud avrebbe ragione sulla sessualità - per i
sensi di colpa condizionanti nevroticamente il libero arbitrio -, non
su Edipo], perché [come
già si è detto]
Dio è Dio [infinito] e il padre è
un uomo [finito].
Dio è un concetto intelletuale,
su cui i condizionamenti edipici agiscono piuttosto nel senso dell’ateismo,
mentre la nevrosi religiosa è senza dubbio legata a Dio come proiezione dei
[soli] genitori, ma questo perché Dio è appunto la matrice dei genitori. Tolta
la nevrosi proiettiva religiosa, non accade che è tolto Dio [come vorrebbe
Freud], ma piuttosto si purifica il concetto di Dio [ma per il principio di
analogia, l’episteme conferma l’antropomorfismo, in quanto l’antropologia
deriva dalla cristologia].
3.] confutazione di Severino: “Dio è una forma nichilistica della
volontà di potenza [uno tra i tanti immutabili]”/…
[Non si è in grado né di
comprendere la filosofia di Severino, dati i limiti culturali e cognitivi del
soggetto espositore, né quindi di confutarla, ma si presenta uno spunto di
riflessione …] [… uso di linguaggio metaforico]. La volontà di potenza non può
creare le forme, e queste, cioè gli immutabili, sono vere ed eterne strutture
dell’essere, come il Caos e il divenire. Severino fa “mangiare” la realtà al
Caos, ma per i principiii della metafisica epistemica, il Caos “mangia” solo
ciò che gli compete [stando esso “al suo posto”]. Se la mente può concepire un
Caos che “divora” l’intera realtà è solo perché tutto il Creato deriva [tratto
da Dio] dal Caos [e dal nulla: creatio ex nihilo]. Severino fa leva sulle paure
di un anima paradisiaca che teme di rientrare nel Caos/nulla [concetti
differenti, ma qui metaforicamente identificati], perché ancora non saldata
[apocatasticamente] sul principio e sulla fonte [innesti futuri, che renderanno
tutte le anime indipendenti da Dio e “pari” a lui dal punto di vista
dell’autonomia]. In realtà, questo timore nasconde l’unico possibile destino
dell’uomo alternativo al paradiso, che non è il nulla, e senz’altro, essendo
infernale, può essere assimilato al Caos. Il nulla diviene il nascondimento
della dannazione, e solo questa si puù temere [e la dannazione è una forma di
eternità, la quale eternità è il destino necessario di ogni anima]. Il nulla è
quindi un falso problema. Tra gli immutabili eterni ci sono epistemicamente la
tecnica e il divenire, che Severino alla fine identifica, identificando
controllante e controllato. Severino pone “paralleli” gli eterni: Caos/divenire,
tecnica, Dio, ecc., e pone tutto “in bocca” al divenire, compresa la tecnica,
per cui l’uomo si salva uscendo dall’ottica del divenire. Ma l’episteme rileva
che gli eterni non sono paralleli, ma tutti “convergenti” su Dio, che non può
stare “in bocca” al divenire [invece forse il divenire è la stessa “bocca” di
Dio]. Poi Severino ha rissunto recentemente il suo pensiero sul Corriere della
Sera: “il
divenire - nascita e morte - della realtà visibile è stato sempre, per l'intera
civiltà occidentale, l' evidenza originaria e innegabile. Ma se esistesse,
esterna a essa, una realtà immutabile e divina che contenesse già tutto quel
che diviene, allora divenire e storia, nascita e morte, sarebbero mere
apparenze. Ma apparenze non possono essere, essendo esse, appunto, l'evidenza
originaria. Dunque quella realtà esterna e immutabile e i valori e costumi a
essa connessi sono impossibili”. Si
osserva in conclusione che questo schema non è corretto: primo, perché il
divenire non è contenuto in Dio, esso è reale ed esterno a Dio, e per questo
[sia come produzione razionale prevista, sia come caos non prevedibile] esso è
vero divenire, che “non divora” Dio [il Caos sta nel profondo dell’inconscio di
Dio, e dell’uomo, tratto da esso]; secondo, perché [si osserva su la
prosecuzione del discorso severiniano su Nietzsche] solo quando innestato in
paradiso l’anima umana può creare [come vorrebbe Niezsche], avendo qui il
controllo della fonte.
La diciottesima dimostrazione include
ogni altra confutazione [interferenze dell’intera storia del pensiero
occidentale soggetto al nichilismo sull’intuizione pura epistemica
dell’esistenza di Dio] e recita quindi così:
il concetto dell'esistenza Dio è vero perchè esprime una fondamentale esigenza dell’intelletto umano, ovvero un
concetto che emerge dall’inconscio dell’uomo, e il rapporto fenomenologico che
l’uomo instaura con tale concetto fa di Dio una realtà sicura e incontrovertibilmente
esistente.
Anche l’auto-concetto dell’ateismo
[negatività auto-concettuale] è evidente, esprimendo una un’esigenza “privativa”,
che contraddice quindi il criterio epistemico veritativo della completezza formale del
più generale sistema epistemico del sapere.