differenza tra teologia epistemica e teologia cristiana
1.] prima differenza
la teologia epistemica, nucleo
teorico della metafisica [o filosofia] epistemica, incentra l’episteme su Dio
per tre ragioni, nessuna delle quali a carattere religioso [natura laica della
teologia epistemica]:
- Dio [= Episteme, se inteso come
dio-Figlio] è la condizione del conoscere, per cui l’uomo conosce triangolando
su Dio: il riferimento a Dio è necessario per conoscere; entro i limiti di una
accettabilità sociale di un discorso [è evidente che solo un uomo mentalmente
malato si riferisce a Dio “in ogni discorso” durante la giornata]: se un
discorso prescinde da Dio, questo discorso non è vero;
- Dio racchiude il segreto/mistero
dell’uomo [= la ragione per la quale Dio lo ha creato, legata alla necessità],
quindi per accedere alla conoscenza di se stessi è necessario riferirsi [ma non
già necessariamente rivolgersi] a Dio: concetto di Dio come chiave per la
comprensione del “senso” [il senso della vita-esistenza];
- Dio è la fonte della felicità e
del piacere, attuali e futuri, quindi Dio è rilevante [massimamente] sotto i
due profili di tipo eudemonistico e edonistico.
Tutto ciò è evidentemente
“laico”, e quindi questa è una prima differenza tra teologia epistemica e
teologia cristiana [o teologia classica o pre-epistemica]: la prima appartiene
a ogni uomo; la seconda è declinata in senso religioso, profilo di analisi che
può non interessare a molte persone [invece il primo profilo, laico, deve poter
interessare chiunque cerca la verità e la verità di se stessi: concetto
“strumentale” di Dio; il soggetto espositore "si serve" di Dio per orientarsi
nel mondo].
Questa prima differenza significa
che la teologia epistemica deve interessare anche al consacrato religioso, ma non in
quanto tale, bensì in quanto uomo e donna.
2.] seconda differenza
la teologia cristiana fa costante
riferimento alla sacra scrittura e ai dogmi di fede, e quasi si può dire che
essa non si differenzia dall’esegesi biblica: la teologia cristiana è
l’interpretazione del mondo [compreso secondo lo schema tripartito, per il
quale Dio è posto sopra il cosmo, ed esistono solo Dio e il cosmo] e della
storia attraverso i dati della fede.
La
teologia epistemica, invece,
usa sì i dati della fede e della sacra scrittura, ma per
strutturare un
pensiero, che poi, con il suo rigore e la sua onni-comprensione, si
rivolge
verso gli stessi dati di fede per spiegarli esso stesso, sì che
l’episteme dà
una lettura filosofica e razionale [ad esempio] del vangelo. I dogmi
della fede
sono interpretati come “formule” che, nello stesso momento
in cui si
costituiscono come “giuda” del pensiero, sono essi stessi
soggetti alla
comprensione del pensiero, che li spiega in modo da renderli
compatibili al
sistema generale del sapere. L’episteme dà la spiegazione
razionale del dogma,
in modo che le sue implicazioni rispettino
[fondamentalmente/tendenzialimente]
l’etica cattolica [sia pure epistemicamente corretta dalla
dottrina
esorcistica]. I dogmi non possono guidare l’episteme a livello
speculativo,
perché essi non sono mai stati razionalizzati [ad esempio: il
magistero ecclesiale non sa cos'è la Trinità, e ancora
giudica questo concetto come in misteriosa e paradossale contraddizione
con l'unicità di Dio]: essi lo hanno guidato, perché
sono stati costantemente intesi come dati-da-razionalizzare/spiegare.
3.] terza differenza
la teologia epistemica è la
costruzione razionale del concetto di Dio a partire dai dati della
ragione,
cioè della filosofia storica. Tale costruzione è guidata
dai dati della
rivelazione intesi solo come “formule dogmatiche” [il
magistero ecclesiale non
le ha mai spiegate]. E’ dunque prevalente l’apporto della
ragione sulla fede
[che ha costruito l’orientamento etico del soggetto espositore,
cioè il suo
desiderio puro, ma non può di certo averlo costruito a livello
speculativo, in
quanto la teologia cristiana è sempre stata fideistica e mai del
tutto e rigorosamente speculativa, se
per “teologia speculativa” si intende quella
“veramente speculativa”, cioè
epistemica: i contenuti di alcuni libri di teologia, anche in quanto
meramente apologetico, non si distingue da un'omelia messale, sono
cioè contenuti più esortativi in senso moraleggiante che
miranti a una "fredda" razionalità, e tale invece dovrebbe
essere il discorso speculativo]. Come detto sopra, la fede ha orientato
la teologia epistemica perché
è stata intesa come dato da dimostrare e da spiegare. Invece la
teologia
cristiana è una forma di pensiero che ha come scopo non
già quello di “spiegare”
il dogma o la rivelazione, ma di riflettere sul mondo e sulle sue cause
"alla
luce della rivelazione", senza spiegare quest'ultima come parte del
tutto [secondo lo schema
quadripartito], ma tentando di comprenderla prevalentemente in senso
esistenzialistico:
- la teologia epistemica risponde
alla domanda: qual è la reale natura di Dio ? [dove Dio è inteso come ente
comprensibile, sia pure in modo imperfetto] [approccio di spiegazione];
- la teologia cristiana risponde
alla domanda: che cosa può significare Dio per me ? [dove Dio
viene assunto come
"dato" e incomprensibile per definizione] [approccio di senso
esistenzialistico]. In questo senso la teologia cristiana è una
forma di "catechismo speculativo".
Si comprende dunque perché la
teologia cristiana non riesca a risolvere la crisi di fede: essendo religiosa,
è esclusiva dei sacerdoti, i quali sono “timorosi del sacro e di Dio”, e quindi
lo giudicano inaccessbile, quindi non razionalizzabile, quindi non
comprensibile e non giustificabile, e così il magistero ecclesiale non può
spiegare Dio razionalmente/speculativamente agli uomini.
Si potrebbe rilevare che S.
Tommaso d’Aquino intese la teologia proprio in senso epistemico,
ovvero in
senso speculativo-razionale-puro. Ciò è vero. La presente
critica della
teologia cristiana riguarda prevalentemente la teologia contemporanea,
fondamentalmente esistenzialistica. S. Agostino e S. Tommaso
d’ Aquino sono teologi epistemici, e l’asse del pensiero
epistemico passa per la scolastica [che incorpora a posteriori la
patristica].
Poi viene la filosofia/teologia
neo-scolastica e neo-aristotelica: si osserva come questa filosofia, in alcuni dei suoi maggiori
esponenti [proff. Gustavo Bontadini, Carmelo Vigna e Enrico Berti], sia quasi interamente laica.
4.] quarta differenza
le parole espresse dal prof. Ernesto Galli Della Loggia,
politologo e docente di storia contemporanea, in un suo articolo sul
Corriere della Sera, esprimono una delle differenze fondamentali
tra teologia epistemica [che pone limiti precisi a Dio] e teologia
cristiana-classica: "... differenza
tra una fede che pone Dio in una dimensione di arbitrio assoluto e un’altra che
invece lo associa intimamente al Logos, alla ragione". Ebbene, la fede che "pone Dio in una dimensione di arbitrio assoluto" è anche espressa dalla teologia classica, e invece la fede "che associa [Dio] intimamente al Logos, alla ragione", e
che quindi "limita" Dio alla ragione e al Logos, è quella
espressa dalla teologia epistemica, che unicamente coglie l'essenza
della religione cattolica [per cui la teologia cristiana esprime anche
- in parte - il "nichilismo teologico"]: è
noto
che per la teologia espressa dal magistero ecclesiale, soggetto in
parte a nichilismo [come bene ha detto Severino] Dio "può tutto
e non ci sono limiti alla sua azione", la quale quindi è
"arbitraria", invece la teologia epistemica limita l'azione di Dio alla
ragione, in quanto questo Dio è la Ragione stessa: il Logos.
Quindi, la teologia
epistemica esprime un Dio che non va oltre i limiti che ad esso pone la
sua stessa natura, che ne fa un Dio razionale e che non desidera
[nè può, nè vuole] altro se non ciò che
è assecondato dalla propria natura. La teologia cristiana
invece, prospettando un Dio "senza limiti", lo concepisce in modo
paradossale, come un Dio che può anche annullarsi e,
divenuto nulla, trarsi dal nulla all'essere [ma come potrebbe - si
osserva-, se si era annullato ?], un Dio che può dannare anche
l'uomo giusto, e non lo fa non perchè non può o non lo
vuole, ma [direbbe il magistero ecclesiale] per "mistero": il "mistero"
è spesso il luogo-metaforico richiamato dal magistero ecclesiale
allo scopo di proteggere il suo concetto [nichilistico] di Dio dalle
contraddizioni paradossali del nichilismo teologico: "Dio può
tutto", e dire "alcune cose Dio non può farle" per il magistero
significa negativamente "porre limiti a Dio".
nota
è un errore interpretare Dio
come
un fatto esclusivamente religioso [da qui il "sospetto" del mondo
accademico verso una teologia percepita come "esclusivo argomento per
il clero", mentre - lo si ribadisce - solo un marito e un padre di
famiglia - e sua moglie/madre -, che ha sperimentato l'amore sessuale
coniugale e l'esperienza della paternità, può fare vera
ed efficace teologia, ben potendo così accedere al mistero di
Dio "padre e madre" e "figlio e figlia", mentre solo un "freddo"
scienziato potrà bene comprendere lo Spirito Santo, l'animale in
Dio]. La teologia è dottrina prevalentemente per uomini laici e
sposati. [utilizzo di linguaggio polemico: ...] la timidezza con
cui il docente universitario parla di Dio [argomento che crede sia
competenza del clero] deve lasciare il posto ad una sua appropriazione
quasi-esclusiva.
Secondo l'auspicio espresso dallo storico e studioso prof. Alberto
Melloni sul Corriere della Sera, lo stato deve riappropriarsi della
sapere teologico nelle sue facoltà universitarie [teologia di
stato].
Qui si vuole quindi ribadire che …
- Dio nel primo sistema [anche
attuale] è a-religioso;
- Dio è religioso solo in una
piccola parte del Dio attuale [dio-Focale], nel secondo sistema;
- il dio-Focale-futuro e quindi
tutto Dio saranno a-religiosi in eterno.
nota
ciò
non significa che, ad
esempio, non ci sia più il “prete”: il
“prete” è la struttura-robotica [si osservi il
colletto chiuso del clergyman] rivestente la natura-Divina di Cristo, e
veste di nero perché essa è
assunta da un corpo [capovolgimento anima/corpo], in fase
strutturalmente
peccaminosa e quindi penitenziale [nero-morte]. Il prete [ogni uomo e
donna saranno
in Paradiso anche “preti”, nella natura divina] è
dunque “eterno”, ma in
paradiso non esiste il “prete-religioso”. Scomparsa della
religione in paradiso
non significa scomparsa delle forme tecnico-liturgiche attuali. Dio
è laico
[a-religioso], ma alcune sue forme e nature possono essere oggi
rivestite solo
in ambito religioso [perchè un uomo strutturalmente impuro
accede al tabernacolo, e quindi deve rivestirsi in senso penitenziale].
Queste sono le basi per una
morfo-de-strutturazione della religione cattolica [in prospettiva
speculativa]: essa rimane religione, ma le
sue forme sono eternizzate in chiave “laica”. Se al primato
attuale della
laicità-coniugale [ovvero della conoscenza essenzialistica della
"nudità" di Dio, accesso proibito all'uomo religioso, e in
futuro a tutti gli uomini] seguirà il primato della
religiosità nel tempo precedente il
ritorno di Cristo, ciò sarà dovuto non al
“trionfo” di tali forme, ma solo
perché si passerà alla sottolineatura del
secondo-sistema-etico [quello del dio-Focale-sacrificale], cioè
della
sacrificalità-attuale del cristo-Focale che, a livello
“macro”, è ancora
crocifisso [fino all'apocatastasi, quando il dio-Creatore
scenderà dalla croce: rilassamento/re-inerzializzazione].